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Resoconto doveroso di un seguito sospeso

Quasi un anno fa presentavo la mia ricerca di dottorato (in corso) a Scuola FuoriNorma e al suo pubblico di quel pomeriggio. Studiavo, come faccio ancora, le “prospettive postcoloniali nella curatela italiana” – come le chiamo io.

Proposi un seminario che, a guardarlo subito dopo, mi sembrò complessivamente troppo articolato, troppo teorico e, in definitiva, dispersivo. Ricordo bene i commenti di alcuni partecipanti; li avevo esplicitamente richiesti e fortunatamente ricevuti qualche giorno dopo, via email. Li conservo in .pdf, e ogni tanto ci torno. Questo mi aiuta a ri-leggere costantemente quello che sto facendo alla luce degli infiniti punti di vista che non sono il mio. Ma anche a mantenere un occhio fisso sulla ‘pratica’, che si tradurrà nella teoria che confronterò con altre teorie. Questo secondo la mia percezione. Allora come oggi.

“forse il termine “post-colonialismo” non funziona in maniera “pulita”
(…)

Considero (quasi)tutte le osservazioni che ricevo perché le mie ‘fonti’ non sono solo i testi e i nomi ufficiali, e ogni nota che raccolgo in occasioni come quella può essere davvero preziosa. Spesso è quello che accade, e per questo sono sempre molto grata a chi mi restituisce la sua visione.

(…) Non mi piace la parola “post-colonialismo” perché racconta un tempo prima e dopo la LORO presenza, quasi come BC e AD riguarda la presenza terrena di Cristo.
È un termine abbastanza prepotente.”*

Alla fine dell’incontro, consapevole dei troppi punti in sospeso che la discussione di quattro ore stava lasciando, avevo promesso ai partecipanti l’invio di un estratto del progetto, con materiali vari per potere approfondire (per chi volesse). Più passavano i giorni, più il rimescolamento delle ‘carte’ successivo a quell’esperienza mi impediva di arrivare a una struttura, una forma, una scrittura soddisfacenti per la destinazione immaginata. E soprattutto, che senso aveva fissare un concetto che solo il giorno dopo sarebbe (quasi certamente) cambiato? Nel corso dell’anno quell’estratto continuava a essere modificato per adeguarsi alle esigenze delle call più o meno accademiche che si presentavano. Dopo pochi mesi era in effetti diverso da come lo avevo presentato a Scuola: molti interrogativi si erano precisati, alcuni nodi messi a fuoco, altri spostati, ecc. Per dirla in breve, ero in mezzo al processo. Ora come allora. A un certo punto mi fu chiaro che non avrei mandato proprio niente a nessuno: niente che non potessi considerare assolutamente chiaro e minimamente ‘rifinito’. Non chiuso. Non ‘definitivo’, anzi, aperto. Aperto, forte e chiaro!

Zoltan Fazekas, R#1717; 5 dicembre 2016.

Per quanto mi riguarda, da quel seminario a oggi la faccenda si è complicata e arricchita grazie alle vicissitudini della ‘ricerca sul campo’ – per dirla in termini accademici; grazie, cioè, a tutte quelle ‘situazioni’, persone, relazioni e frizioni che mi stanno permettendo di stare alla larga dall’autoreferenzialità, ad esempio. Studiare e mettere in questione le pratiche che si stanno praticando, si sa, non è un fatto semplice. E quanto è insidioso lo capisci veramente mentre lo fai, perché le ‘minacce’ che vedevi nell’ipotizzarlo erano tutt’altre.

Ad oggi non ho ancora mandato niente a nessuno del mio pubblico di quel pomeriggio; con molta probabilità lo farò solo quando – costretta dalla burocrazia – avrò finito di scrivere la tesi in corso, e ogni suo contenuto mi sembrerà avere senso (spero). Ad oggi, questa mia ricerca mi sembra andare avanti come succede a tante altre che incontro per strada (sapere di non essere ‘soli’ conforta sempre) – tra alti, bassi, luci, ombre, nebbie, nebbie fittissime, poi di nuovo spiragli di luce, abbagli, e via dicendo.  Proprio in questi giorni, a proposito, a seguito di un’altra bella discussione accademica, tutto il progetto è di nuovo in ristrutturazione generale. Tra una manutenzione e un’altra, poi, stanno succedendo varie altre cose che potrò condividere a breve.

In definitiva, questo post non introduce un file appena caricato che (finalmente!) vi dice cosa voglio dire con quello che sto facendo, né annuncia la sua data di ‘caricamento’.
A chi ancora aspetta: scusa il ritardo. ti penso. prima o poi ti rispondo. (non)giuro.

* (estratto da una mail ricevuta da una partecipante al seminario)